Le Mépris-Il Disprezzo

C’è stato un periodo del Cinema italiano in cui, a distanza di pochi anni, sono stati prodotti una quantità impressionante di film tratti dai romanzi di Alberto Moravia: Gli Indifferenti, La Ciociara, Il Conformista, La Noia, solo per citarne alcuni.

Di Moravia ho letto anni fa il suo primo romanzo: Gli Indifferenti. Un’opera dura, elegante, capace di esprimere perfettamente la sensazione di apatia e incomunicabilità in cui si incagliano i personaggi. Nessuno appare come il protagonista poiché tutti si muovono come comparse: scoloriti, lontani, vittime di un’infelicità strisciante e onnipresente. Proveniente da un ambiente borghese e agiato, Moravia è più bravo di altri a cogliere i vizi e le insofferenze di quelle figure che fin da bambino è abituato a frequentare. Potrebbe risultare un intellettuale come tanti, fermo tra le sue quattro mura immacolate, se non fosse che nei romanzi, come nella vita, Moravia si mostra un uomo sensibile ai temi della sua epoca, dotato di una vena artistica eclettica e curiosa che si intreccia con il mondo del teatro e del cinema.

Tra i tanti romanzi adattati a film, spicca un gioiello girato nel 1963 e appartenente al filone della Nouvelle Vague: Il Disprezzo di Jean-Luc Godard. La storia è quella di un drammaturgo ingaggiato da un grosso produttore per riscrivere la sceneggiatura di un film sull’Odissea diretto dal regista Fritz Lang. Il drammaturgo è interpretato da Michel Piccoli, il produttore da Jack Palance e Fritz Lang interpreta se stesso. La vicenda si sofferma, però, sulla crisi che nasce tra Michel Piccoli e quella che nel film ha il ruolo della sua bellissima moglie: Brigitte Bardot.

Regista e sceneggiatore del film, Godard utilizza il soggetto di Moravia per scrivere alcuni dialoghi dalle venature esplicitamente autobiografiche, copiati e trasposti sullo schermo da discussioni avute con la propria moglie, l’iconica attrice Anna Karina. Importanti sono i colori e le ambientazioni che fanno da cornice: la lunga sequenza della diatriba coniugale si consuma all’interno di un appartamento ancora in costruzione, con porte a cui mancano i pannelli centrali e attraverso cui marito e moglie camminano, parlano, si guardano, compiendo quasi una danza di graduale allontanamento e distacco.

Purtroppo da sempre l’Italia è un Paese poco incline all’irriverenza e spontaneità con cui si possono trattare temi politici ed etici, incombe spesso la censura a chetare le smanie creative e divulgative degli intellettuali e degli artisti, e così la versione italiana de Le Mépris appare uno scempio da quanto è mutilata e modificata. La drammaticità della crisi coniugale, che è anche una crisi esistenziale, è sminuita dalla sostituzione delle musiche, che nella versione italiana sono composte da Piero Piccioni e hanno un tono leggero e scanzonato, mentre nell’originale Georges Delerue crea un componimento più solenne. Tra le molte cesure c’è anche quella di Brigitte Bardot che trova nella tasca di Piccoli la tessera del Partito Comunista.

Il rapporto complesso tra l’uomo e la modernità, in totale contrasto con la poetica di Fritz Lang, fuoriesce quando tutti si trovano ospiti in una villa a Capri per girare il film. Nel mare dell’isola, tra la boscaglia e gl’irti sentieri, questa natura sovrasta e immobilizza il cuore inaridito dei personaggi, privi di valori e passioni, ormai divenuti stanche caricature di loro stessi. La celeberrima villa Malaparte, di proprietà di un vecchio amico di Moravia (lo scrittore Curzio Malaparte) fa da sfondo all’apatia e alla crisi dei protagonisti. La spettacolare grandiosità estetica della villa, che ben si inserisce nel paesaggio selvatico, senza snaturarlo, rende ancora più piccole e perse le figure umane che la attraversano. Gli uomini e le donne portati sullo schermo da Godard sono sull’orlo della follia, sono instabili e immorali, ma non rinunciano alla propria ricerca della felicità. Vivono momenti di turbamento e dolore, ma nonostante tutto lottano per riprendere in mano la propria vita e si dimostrano eccezionalmente ottimisti.

Il finale è tragico.

Alice Bonvini

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